Raffa la riaccompagnò a casa.
«Te la senti di dormire sola? Se
vuoi rimango a tenerti compagnia», le disse premuroso.
«Non ti preoccupare. Grazie, ma
me la caverò. Nel caso avessi bisogno, stai certo che ti chiamo».
«Ok, ma, mi raccomando, non farti
problemi. Per qualunque cosa, sappi che io ci sono», insistette.
Quella notte Jessica dormì poco e
male.
Il mattino alle cinque era già in
piedi. Dopo una rapida colazione si recò in ospedale. Per strada c’era
pochissimo traffico, era ancora presto.
In cinque minuti arrivò e, con
tutto il coraggio che riuscì a raccogliere, raggiunse il sesto piano del
nosocomio. Appena uscì dall’ascensore, vide il dottore con cui aveva parlato il
giorno prima.
«Oh, eccola… Buongiorno
signorina. Suo padre si è stabilizzato. Questa mattina lo trasferiamo al quarto
piano».
«Buongiorno dottore… che bella
notizia, grazie! E ora?», chiese.
«Ora lo tratteniamo almeno una
settimana per cercare di stabilizzargli tutti i valori sballati, poi potrà
tornarsene a casa. Ovviamente lei dovrà fare in modo che non tocchi più una
goccia di alcool. Da adesso in avanti, non si scherza più. Se tornerà a bere
non avrà scampo. Già questa volta lo abbiamo salvato in extremis…».
«Certo, farò il possibile. Ci
avevo già provato, ma senza risultati», disse Jessica sconsolata.
«Lo immagino signorina, ma ci
sono molti modi. Ad esempio si può rivolgere all’associazione alcolisti anonimi.
Il difficile sarà convincerlo, ma, a costo di passare per ‘cattiva’ dovrà
cercare di farcela».
“Già… la fa facile lui”, pensò
Jessica.
Solo lei sapeva com’era veramente
suo padre. Lei, che ci conviveva ogni giorno e, appena provava a dirgli di non
bere, si prendeva una serie d’improperi che, talvolta, si trasformavano anche
in botte, nonostante non facesse nulla di più, se non parlare per il suo bene.
Questa volta, però, sperava che
il fatto di essere andato molto vicino a lasciare questo mondo, potesse in
qualche modo spronarlo a smettere una volta per tutte.
Si recò al suo capezzale, ma vide
che dormiva. Decise di non svegliarlo e andò al lavoro.
Qui nessuno si aspettava di
vederla e furono tutti molto gentili. Lei, però, non cercava compassione e,
così, dopo le solite frasi di rito, raggiunse la sua postazione e per tutta la
giornata non alzò più lo sguardo.
La sera tornò in ospedale e
questa volta vide suo padre sveglio. Sembrava così fragile…
«Ciao papà, come ti senti?»,
chiese.
«Considerando che per un pelo ci
lasciavo la pelle… direi bene», rispose lui, con voce flebile.
«Mi hai fatta spaventare. Te l’hanno
già detto i medici, qual è l’unica cosa da fare adesso per sopravvivere?».
Non le piaceva dover assumere lo
sgradevole ruolo da professoressa, tanto più in questa situazione, ma non aveva
scelta.
«Sì, sì… lo so che devo smettere…
Ce la metterò tutta, te lo prometto. Hai già avuto così poco affetto tu, che
non ti meriti certo di soffrire ancora… Ripensando a tutto quello che ti ho
fatto in questi anni, mi vergogno tantissimo, credimi… e ti chiedo scusa. Sono
un mostro», concluse, quasi con le lacrime agli occhi.
Jessica non si aspettava di
sentire queste parole e si sentì in imbarazzo.
Dimostrare affetto con gesti e
parole, non era mai stato nelle corde
di suo padre. Lei sapeva che, quando era lucido, le voleva veramente bene, ma
ultimamente i suoi attimi di lucidità si erano ridotti notevolmente.
«Non dire così, papà… Il passato
non conta. Adesso l’importante è che ti rimetta in sesto», furono le sole
parole che riuscì a pronunciare.
Elvira Tonelli
NEI PROSSIMI GIORNI IL CAPITOLO 3!!!
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